di Nino Barone
Simone Galia, un cinquantenne trapanese, rappresenta una storia di lotta, resilienza e generosità collettiva. Nato e cresciuto a Trapani, Simone viveva una vita normale, lavorando nel settore dell’edilizia e costruendo il suo futuro con sacrifici e sogni comuni a tanti: un mutuo per la casa, una famiglia da mantenere, un lavoro di fatica ma dignitoso. Tuttavia, nel 2005, all’età di 34 anni, la sua esistenza cambiò radicalmente a causa di una diagnosi che nessuno vorrebbe mai ricevere: un neuroma lombo-sacrale. Da quel momento in poi, la sua vita quotidiana subì una trasformazione drammatica.
Il neuroma lo colpì inizialmente nella deambulazione, limitandolo gradualmente nei movimenti. Nonostante le prime difficoltà, Simone continuò a lavorare, stringendo i denti per mantenere la famiglia e non abbandonare quella routine che gli dava forza. Ma la malattia avanzava inesorabile, fino a quando le sue gambe non risposero più ai comandi. Il settore dell’edilizia, che era stato il suo pane quotidiano, divenne ormai irraggiungibile. Simone dovette affrontare non solo la sua condizione fisica, ma anche la battaglia burocratica per il riconoscimento della sua disabilità, in un percorso lungo e logorante.

Simone, oltre al lavoro, aveva un legame profondo con la tradizione della sua città. Era uno dei portatori dei sacri Misteri di Trapani, una devozione che onorava ogni anno il Venerdì Santo. Per ben 16 anni condusse con orgoglio il ceto del Popolo ossia il gruppo scultoreo che rappresenta l’Ascesa al Calvario, un ruolo che richiedeva forza e dedizione. In molti lo ricordano sotto le aste, un uomo forte e devoto che partecipava con tutto il cuore alla processione religiosa. Ma anche questa parte importante della sua vita venne strappata via dalla malattia.
Simone non si arrese, ma per sei lunghi anni visse una condizione che possiamo definire quasi come una segregazione involontaria. Il suo appartamento si trovava ai piani superiori di un edificio e per uscire di casa era costretto a un’operazione dolorosa e umiliante: scendere i gradini facendosi rimbalzare lungo la scala e risalirli strisciando con la sola forza delle braccia. Una fatica immane, che Simone affrontava soltanto quando era strettamente necessario, all’incirca una volta ogni 15 giorni.
La svolta arrivò grazie all’emittente locale Telesud e al compianto giornalista Wolly Cammareri, che promosse una raccolta fondi per aiutare Simone. La risposta dei trapanesi fu straordinaria. In molti contribuirono al progetto, permettendogli di rendicontare ogni euro ricevuto con trasparenza. Il cuore generoso della comunità, unito al contributo finale del 37° Stormo di Birgi, permise a Simone di installare un montascale per disabili. Questo strumento non solo gli restituì la libertà di movimento, ma gli ridiede una dignità perduta e lo riportò a una vita più autonoma.

La storia di Simone ci insegna che la disabilità può colpire chiunque, in qualsiasi momento. Non si tratta solo di una condizione con cui si nasce, ma anche di una realtà che si può incontrare lungo il cammino, come è accaduto a Simone Noemi Galia. Ma ciò che rende la sua vicenda speciale non è solo la lotta contro una malattia debilitante, ma il modo in cui la sua comunità si è stretta intorno a lui, dimostrando che la solidarietà può trasformare una condanna in una speranza.
Oggi, Simone conduce una vita sociale attiva, continuando a lottare non solo per sé, ma per dare voce a chi non l’ha. Più volte si è candidato al consiglio comunale, con l’intento di rappresentare le persone che, come lui, si trovano a vivere la disabilità. La sua è una voce autentica, nata dall’esperienza diretta, che porta con sé il peso delle difficoltà ma anche la forza di chi ha saputo rialzarsi.
La storia di Simone Galia è una testimonianza di come, anche nelle situazioni più difficili, la speranza possa nascere dal sostegno degli altri e dalla propria volontà di non arrendersi mai.