di Federico Guastella
La silloge di Nino Barone “Alitu di Diu”, che comprende 43 poesie in lingua siciliana, è stata pubblicata nel 2022 da Bienne Quaderni. Bella l’immagine di copertina che metaforicamente rappresenta la luna viaggiatrice nell’immensità dell’universo, metafora del sentimento del notturno che si fa sogno. Le chiarissime fotografie in bianco e nero, 40 in tutto, sono funzionali al testo, quasi sempre seguito da ciascuna di esse. L’epilogo – così potremmo dirlo – è una sorta di postfazione che intrattiene il lettore su alcune riflessioni dell’autore sulla poesia e sui poeti del nostro tempo. Per inquadrare un’opportuna interpretazione pare essenziale riferirsi al libro di Erving Polster “Ogni vita merita un romanzo”. Quando raccontarsi è terapia (Astrolabio, 1988). Ancorché datato, è attualissimo giacché fa leva sul valore dell’autobiografia per la riscoperta della propria anima nel labirinto delle ansie e delle inquietudini, delle aspirazioni e dei progetti. Difatti, con le sue liriche siamo in un particolare tipo di colloquio empatico con se stesso, una delle modalità espressive più significative per fare affiorare dall’inconscio la consapevolezza della propria condizione. Riappropriarsi della vita e riprogettarsi da protagonisti sono in fondo gli obiettivi della narrazione autobiografica che nella poesia ha suggestioni ritmiche, immagini inconsuete, affetti familiari e amicali, turbamenti sociali. Ha ragione Sacks nel dire che “Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità, il cui senso è la propria vita”. La scoperta e la percezione del “Sé”, oltre a segnare un cambiamento profondo, risponde al bisogno di ri-vivere, ritrovando motivazioni. Nel fare poesia la risposta viene data dalla “parola”, intesa come luce-guida chiarificatrice di zone d’ombra. L’idea è quella di stendere il romanzo della propria vita, cogliendo le varie fasi di un percorso attraverso il guardarsi dentro. E’ questa in fondo l’operatività del poeta come soggetto di conoscenza e di espressione: animato dalla dirompente forza del desiderio, instaura un contatto con un mondo sommerso da esplorare per guardare in avanti. Spinoza lo chiamava conatus essendi, ovvero <<desiderio di esistere>>. Bergson lo definiva élan vital <<slancio vitale>>. Forse potrebbe equivalere ad una sorta di “istinto di sopravvivenza”, ma sicuramente è una inestinguibile forza primordiale che assicura la volontà di sentire vivi. Per Nino Barone è il desiderio d’amore che palpita nell’intimo ed esige di manifestarsi: come suggerisce il titolo, ha il suo modo di sentirlo la radice metafisica del respiro divino. Sembra proprio che egli abbia voluto trarre ispirazione dai versi dell’Alighieri: specificamente da quel solo verso che, luminosamente si rinviene nella terza Cantica della Commedia, a indicare nel moto degli astri il volere del “Sommo Fattore”: L’amor che move il sole e l’altre stelle. All’amore, a quell’amore principio e anima dell’universo, si richiama Nino Barone e l’accoglie e lo volge nel suo ritmo. Così facendo, sollecita nel lettore il respiro profondo del movimento che annoda la poesia d’amore al cielo stellato e al desiderio d’infinito. Lasciano una diffusa dolcezza le sue magiche poesie d’amore. E il lettore ne accoglie il sentimento, sentendosi partecipe della condizione come appare nell’ultimo verso dell’Infinito leopardiano “E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Il nostro poeta si mostra abile sulla soglia delle immagini e delle metafore, della lingua come mezzo di comunicazione creativa. Nelle sue varie sfaccettature, come un raffinato giullare canta l’amore con una tenerezza che s’avvicina all’armonia, alla fusione cioè di parole e di emozioni. Gioisce e si commuove, sentendosi attratto dal fascino del paesaggio marino. E sono poesia le vibrazioni che scuotono nel profondo grazie al lessico di stupende potenzialità fonetiche, ricche di allitterazioni e musicalità:
Amuri miu chi fai di la me vita
un campu di ciuriddi prufumati,
pi tia, sustanza di li me’ jurnati,
stennu palori d’anima pulita,
coccia d’amuri e ciatu, sirinati,
pi fàrini na favula di sita,
magica, duci, tènnara, scurpita
‘n capu la roccia di linnamutati.
Questo amore per la sua donna lo rivive nell’incantevole poesia “Ti truvai stinnicchiata puisia”, dove umorali versi, modulati veicolano un rapporto corporeo, quasi passionale, con l’essenza della “Poesia”: una perfetta corrispondenza egli instaura tra la psiche e il corpo per introiettare l’energia del poetare, capace di smuovere le zone più agitate e più irrequiete per l’esigenza impellente di un riconoscimento di personalità e di identità:
Tra li manu mei sicchi e trimanti
ti truvai stinnicchiata puisìa,
divintasti l’amuri, l’amanti
chi di sempri disiava pi mia!
Nino Barone è il poeta demiurgo della natura: verseggiandola, la dipinge. Poesia-pittura è la sua manifestazione estetica; non solamente la poesia parla, ma è colore, forma, sensualità. I due linguaggi si fondono in un tutt’uno ed hanno come musa ispiratrice lo splendore del “Sacro”, generatore di emozioni. Egli così si proietta in uno spazio aperto all’infinito, dove liberamente e fluidamente viaggia senza confini, manifestando un continuo dialogo tra sentimenti e natura. L’attitudine pittorica, che plasma il verso, trova così una fresca linfa nella visione sia a livello rappresentativo che stilistico. Delicato il profumo che par di percepire ammirando la bellezza e la semplicità di ogni dettaglio ed è catartica la calma che infondono le parole utilizzate: intima luce quasi mistica con la quale si coglie l’ “anima mundi” di cui egli si sente partecipe e in cui avverte di essere immerso. Il viaggio dell’anima, dunque, in cui si fondono il sogno e la realtà, il visibile e l’invisibile, l’ineffabile e il concreto. E tale peculiarità emerge dalla composizione “Vulissi tra li nuvuli turnari”, bellissima per il sentire armonioso e il ricercato senso estetico:
Eppuru stiornu cantanu li stiddi,
la danza di li nuvuli arricrìa,
mi sentu già di stari ddà cu iddi
comu na nota di sta miludìa.
La figurazione e la parola, bene innestate, sono in sostanza il “liet motiv” che Barone sa con maestria offrire. L’effetto è una dimensione visionaria delle cose, simbolo di verità e conoscenza.