Ho partecipato con interesse alla presentazione del libro fotografico “Gente mia” dell’attore Gianfranco Jannuzzo (solo adesso scopro che è anche un fotografo) sia perchè l’ho sempre seguito nelle sue performance teatrali e cinematografiche, cosa che ha sempre suscitato in me un certo interesse essendo anch’io un teatrante o qualcosa di simile, sia perchè di recente ho riscoperto anche la voglia di tenere in mano la macchina fotografica anche se, lo dico senza vergogna, ho difficoltà a utilizzarla in modo manuale, il tempo mi dirà prima o poi se devo ricollocarla nella sua custodia definitivamente. Spero ovviamente che non succeda. Le foto contenute nel libro di Jannuzzo edito da Medinova di Antonio Liotta, sono belle, alcune molte belle e al di là del fascino che esprimono e che trasmettono attraverso la suggestione del bianco e nero raccontano delle storie. Una in particolare mi ha colpito profondamente: la foto immortala due anziani coniugi nella propria abitazione, fin qui tutto può sembrare normale se non fosse per la storia che si cela dietro a uno scatto, storia di emigrazione che incrocia quella di tantissimi siciliani che, per un futuro migliore, lasciarono la propria casa, il proprio paese per trasferirsi in Belgio e lavorare nelle miniere. I due coniugi ritratti in quella foto hanno venduto addirittura la propria casa, hanno sostentato in Belgio i loro figli dando loro un avvenire certo e solo dopo l’impervio sentiero di vita, giunti alla pensione, decisero di tornare al paese ricomprando la casa che avevano venduto in giovinezza. Mi ha emozionato molto la storia di questa foto e ha emozionato persino Gianfranco che l’ha raccontata col nodo alla gola.
Un complimento all’instancabile Arturo Safina capace di proporre sempre eventi legati al mondo della fotografia di qualità e di grande spessore culturale. E’ stato lui, proprio lui a consigliarmi la mia prima macchina fotografica nel lontano 1996 quando ero un giovane suo collaboratore odontotecnico. Allora su suo invito acquistai una Yashica Super 2000. Proprio in quegli anni Arturo stava programmando e selezionando le foto per il suo libro fotografico sui Misteri, ricordo che visionammo centinaia di scatti, tutti meritevoli di pubblicazione, ma solo 100 dovevano essere quelle contenute nel libro che uscì parecchi anni dopo.
Cosa ho imparato da questo evento? Innanzitutto a credere, divulgare e valorizzare usi, costumi e tradizioni della mia terra, cosa che già faccio con convinzione, ad avere rispetto per la storia della mia terra e per le microstorie che in essa si sviluppano, storie di uomini e donne, di intere famiglie, storie comuni che lasciano il segno. Forse non imparerò mai a fotografare in manuale e mi perderò sempre tra gli iso e l’apertura del diaframma. Pazienza, nessuno è perfetto!
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