di Nino Barone
Ci sono dei fatti che accadono e che meritano di essere raccontati. Storie comuni di uomini altrettanto comuni che casualmente si trovano protagonisti di vicende tutte da scoprire. In un caldo pomeriggio di luglio, mentre rovisto tra le carte del mio personalissimo archivio dei Misteri, m’imbatto in un vecchio resoconto economico in cui, sul frontespizio di pagina 3, vi è pubblicato l’organigramma dei Metallurgici relativo all’anno 2000. Un nome mi salta subito all’occhio: Bartolomeo Asta, console onorario. Da lì comincio allora la narrazione per non disperdere il patrimonio storico e sociale della tradizione dei Misteri.
Asta era uno stagnino, ma non ci sono documenti o registri di vecchi verbali che possano stabilire con precisione gli anni della sua militanza. Dalle fotografie visionate riscontriamo la sua presenza nel mistere dei Fabbroferrai a partire dalla fine degli anni ’40. Furono le prime fotografie del dopoguerra in cui si rileva che i gruppi scultorei poggiano già sui cavalletti lignei, ma sono privi della manta nera. Anni difficili. La fase di ricostruzione non riguardò soltanto i gruppi distrutti o danneggiati, ma tutta la società civile che ne usciva segnata in modo indelebile da quell’orribile periodo in cui Trapani pianse oltre seimila vittime innocenti. Anche la sede dei Misteri fu sventrata dai violenti bombardamenti del 6 e dell’11 aprile del ’43. Il restauro e il rifacimento dei gruppi fu affidato a due rinomati artisti trapanesi: Giuseppe Cafiero e Domenico Li Muli. Quest’ultimo realizzò due volte il gruppo della Sollevazione, poiché il primo non piacque alla maestranza dei Falegnami.
Bartolomeo Asta, lu zu Vartulu per gli amici, fu testimone e protagonista indiscusso della fase di ricostruzione che coinvolse pure i gruppi risparmiati dalla crudeltà della guerra. Lo abbiamo visto posare, insieme ad altri consoli, in alcune foto scattate a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60. Statuario, elegante, mite e con quel suo leggendario cappello al capo modello Ediston attraverso il quale manifestava fierezza, orgoglio e nobiltà d’animo. Le sue ultime processioni da console attivo risalgono alla fine degli ’70. Una foto di quel periodo lo ritrae insieme al giovane portatore Franco Cordaro.
È di quel periodo la ripubblicazione del resoconto economico consegnato alla categoria che, nel frattempo, aveva lasciato la vecchia denominazione degli anni ’30 ossia di “Ceto dei Fabbroferrai, Stagnini e Ramai” e quella più recente degli anni ’60 di “Ceto dei Fabbroferrai, Stagnini e Meccanici” per assumerne una dal contenuto più generalistico ovvero di “Ceto dei Metallurgici”. Dal ’72 la famiglia La Mantia assumeva la conduzione a spalla del gruppo sostituendo la ciurma Renda, chiamata “dei beccamorti”.
Asta, dunque, lasciò il gruppo nelle mani dei più giovani che, in quegli anni, mostrarono particolare attaccamento e interesse verso la processione. Già gravitavano attorno alla vara dell’Arresto Francesco Cardinale, detto Cino, Michele Bosco, Pietro Maltese, Giuseppe Ferrara, Francesco Pellegrino che ne fu il capo console fino al 1979 anno in cui passò a miglior vita.
L’amore verso la processione che aveva coltivato per tanti anni lo portava annualmente a trascorrere davanti a quella vara la lunga sera del Giovedì Santo. Da lì hanno inizio i miei ricordi. Lu zu Vartulu conversava pacatamente con tutti e posava spesso per foto di gruppo improvvise come a voler suggellare la sua presenza anche da “vecchia gloria”. È immortalato in foto scattate tra la fine degli ’80 e i primissimi anni ’90. Poi vi fu il vuoto. L’avanzata età e le precarie condizioni di salute non gli permisero, addirittura, di uscire dalla sua dimora. Nel corso della processione del 2000 i Metallurgici, contravvenendo alle regole della processione, staccarono il gruppo dal corteo e lo portarono sotto casa di lu zu Vartulu. Dal vetro di una finestra si intravedeva la sua esile figura, da lì assistette a una memorabile annacata che portatori e consoli fecero sotto la sua abitazione. Fu un momento di commozione intensa che scosse quanti si trovarono ad assistervi. I nostri volti si coprirono di lacrime a tal punto che fu persino difficile ritornare alla normalità. Egli non ebbe neppure la forza di salutarci, ma i suoi occhi dissero più di quanto avrebbero potuto dire le parole. In cuor suo sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima annacata. E fu così. Pochi mesi dopo, esattamente il 4 giugno del 2000, lu zu Vartulu lasciava la vita terrena e un vuoto incolmabile.
Analogo destino era toccato qualche anno prima al leggendario Michele Sansica, storica figura del ceto dei Fruttivendoli e fedele devoto della Madre Pietà del Popolo che la categoria, appunto, cura da tantissimi anni. Era il Mercoledì Santo del 1996. Non a caso, pure quell’anno, il percorso processionale prevedeva il transito dalla via Poeta Calvino dove vi era l’abitazione dell’ultraottantenne Sansica. Un’estenuante annacata si consumò davanti ai suoi occhi commossi e grati che non smisero mai di fissare con profonda intensità quella vara. Anche per l’anziano console, appositamente sorretto da un familiare, fu quella l’ultima anncata. Morì due giorno dopo, il Venerdì Santo.
Storie comuni, si fa per dire. In realtà è storia che riguarda tutta la comunità trapanese, specialmente il popolo dei Misteri, spesso distratto, apatico e senza memoria.
(da “Processione dei Misteri – Cronache e Memorie” 2020)
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